Lorenzo A. Angelaccio
è un editor professionista specializzato in romanzi storici. Ha esordito come autore nel 2024 con il romanzo storico Come la neve a maggio, pubblicato da De Tomi Editore (che ho intervistato qui).
Per Immersivamento 2025, il nostro contest dedicato alla scrittura immersiva, ha condiviso con noi un racconto fuori concorso che apparirà sulla nostra antologia assieme ai racconti vincitori e selezionati (ulteriori informazioni).

Ciao Lorenzo, grazie per aver accettato l’invito ed esserti unito al nostro contest. Non ci siamo mai incontrati, ma sei stato uno dei lettori beta che mi hanno accompagnato durante la stesura del mio primo romanzo (peraltro in cornice storica e ancora in revisione!) e già dai tuoi commenti era chiaro che avevi studiato per la professione di editor e che questa fosse una tua vocazione assieme alla scrittura.
Per Librati con Alice è un onore avere un tuo racconto tra i fuori concorso.
Ho terminato da poco il tuo libro e devo dire che mi è piaciuto molto, forse perché è un romanzo storico, forse perché è nostalgico e delicato. Ho avuto l’impressione di apprendere parecchie cose, sia dagli eventi che fanno da sfondo, che dalle scene nei locali, le passeggiate all’aperto e più di tutti attraverso i commenti sull'arte. Sono state esperienze non solo istruttive, ma anche appaganti.
Prima di partire con le domande, ecco la quarta di copertina di Come la neve a maggio:
Roma, 1913. Alfred Bösgel, studente tedesco, arriva nella Città Eterna per studiare arte e fuggire dalla monotonia di Mainz. L’incontro con Cesare, giovane pianista che lo seduce, lo spaventa al punto da negare la propria omosessualità: cosa che lo fa vergognare di sé stesso. Intanto, Alfred rischia di essere incastrato in un matrimonio tradizionale con Flaminia, sorella di Cesare, ma verso di lui inizia a provare un sentimento che non può più nascondere. Perché, per quanto diversi, entrambi sono anime pure e fragili: come la neve a maggio, che si scioglie nel momento in cui tocca terra.
E ora, spazio alle domande…
Scrivere per te è sempre stata una vocazione o hai iniziato di recente?
Un po’ entrambe le cose! Sicuramente l’ho sempre vissuta come una vocazione fin da bambino, come del resto molte altre persone, e ho rafforzato sempre di più questa convinzione durante l’adolescenza e poi gli anni dell’università. Tuttavia, ho sempre avuto un approccio estremamente amatoriale e dilettantesco, procedendo nella scrittura di racconti (e diversi tentativi di romanzi incompiuti) senza un vero e proprio metodo. Approccio che ho radicalmente cambiato tra 2020 e 2021, quando ho scoperto la realtà di formazione Rotte Narrative e ho deciso di iniziare a fare sul serio con la scrittura.
Sicuramente ci sono libri, autori e opere che hanno contribuito a formare il tuo immaginario e il tuo stile. C’è stato qualcosa in particolare che ti ha fatto dire: “Voglio scrivere anch’io”?
Se c’è stato qualcosa in particolare che mi ha fatto scattare questo, sinceramente non ricordo. Però posso dire che i primissimi autori che mi hanno fatto esclamare: “Un giorno vorrei anch’io scrivere così!” sono stati Edgar Allan Poe e Stephen King. Seguiti, diversi anni dopo, da George R.R. Martin, di cui ho amato l’approccio immersivo prima ancora di sapere che si chiamasse così. Mentre le opere che mi hanno avvicinato alla narrativa storica, e al desiderio di scriverla, sono i romanzi di Marcello Simoni.
Immagino che durante la scrittura tu sia stato immerso in un vero e proprio mondo parallelo, tra film d'epoca, libri e documenti. Quanto è stato difficile rimanere lì dentro senza cedere alla tentazione di rimandare la scrittura (o di proseguire all’infinito con la documentazione)? Hai adottato un metodo, una routine o qualche trucco per superare la resistenza?
In realtà per me è stato un po’ il contrario, almeno nelle prime fasi di scrittura. Infatti ero così smanioso di mettermi a scrivere, di dare vita ai personaggi che si affollavano nella mia mente, che per me è stato difficile costringermi ad approfondire quanto più possibile la documentazione. Cosa di cui mi sono pentito dopo, essendomi reso conto che avevo ancora alcune lacune a carattere storico da dover colmare. Mi sono quindi rimesso a studiare, approfondendo con altri saggi e documenti, e qui in effetti ho sperimentato un po’ quello che dici: anche perché avevo già scritto un paio di stesure che non mi soddisfacevano, e quindi l’entusiasmo dei primi tempi si era dissolto lasciando spazio a dubbi e sconforto. Poi però sono arrivato a un punto in cui ogni testo nuovo che leggevo mi ripeteva informazioni già note, e allora lì ho capito che era arrivato il momento di rimettersi a scrivere.
Nel romanzo hai utilizzato la terza persona al passato nonostante lo stile di scrittura sia trasparente/immersivo. Questa scelta è legata al genere storico o è proprio una tua preferenza? Cosa ne pensi della scrittura in prima persona al presente?
Sicuramente il fatto che si tratti di un romanzo storico — un genere i cui lettori tendono a preferire questa impostazione narrativa — ha avuto un impatto sulla scelta. Tuttavia, questa è dipesa anche da un fattore puramente tecnico, che nel momento in cui scrivevo mi sembrava rilevante. Alfred, infatti, è un ragazzo tedesco che si ritrova in un contesto italiano e che conosce l’italiano solo come seconda lingua. Adottare una prima persona al presente, e quindi un’immersione “profonda” dentro il suo punto di vista, avrebbe creato – almeno a mio avviso – un leggero “sfasamento”, per cui mi sarebbe stato più difficile far capire questa sua estraneità al contesto linguistico. Al contrario, adottare una terza persona mi ha permesso di mantenere quel minimo di distanza necessaria a muovermi con più agio su questo aspetto, permettendomi poi di “colorare” la prosa con delle espressioni in tedesco che, in prima persona, avrebbero forse un po’ stonato.
In generale, la prima persona al presente mi piace come impostazione, ma non ho particolari preferenze al riguardo. L’importante è sempre il risultato finale.
La scrittura immersiva è diventata molto popolare negli ultimi anni e ha attirato sempre più attenzione. Alcuni la trovano coinvolgente, mentre altri la criticano perché dicono che possa limitare la voce dell'autore o rendere prevedibili alcune scelte tecniche. Tu cosa ne pensi?
In generale, non penso che utilizzare determinati strumenti tecnici – tra cui, appunto, quelli della scrittura immersiva – limiti il proprio stile, perché poi sta sempre a chi scrive la scelta di quali sono gli strumenti più adatti a raggiungere i propri obiettivi. Nessuno è obbligato a fare niente e la conoscenza delle tecniche stilistiche ci dà solo modo di operare scelte consapevoli. Se conosco in maniera approfondita la scrittura immersiva, poi posso anche scegliere di non utilizzarla se non fa al caso mio; ma non conoscerla vuol dire non poterla applicare in modo consapevole, e questo è chiaramente un grosso limite. L’equivoco di fondo, secondo me, è che molte persone credono di poter scrivere “senza tecniche”, ma in realtà non è così. Le tecniche si usano a prescindere dal fatto di essere consapevole di usarle, e non avere questa consapevolezza è implicita ammissione di trovarsi in balia del caso. Con tutto quello che ciò comporta.
Detto questo, credo anche che un’applicazione troppo pedissequa di alcune regole di scrittura possa essere deleteria e rendere la propria scrittura un po’ troppo piatta e macchinosa. E, da lettore, ho notato la presenza di alcune collane editoriali le cui opere tendono a presentare una serie di caratteristiche ricorrenti che, a mio gusto personale, non mi fanno impazzire. Mentre ho notato che un’applicazione un po’ più elastica, ma forse anche un po’ più consapevole, dei principi della scrittura immersiva rende i testi veramente fluidi e magnetici.
Passiamo ora al romanzo.

Raccontare la scoperta dell'identità sessuale nel 1913 significa confrontarsi con un mondo che non solo non accettava certe realtà, ma spesso non sapeva neanche come descriverle. Allo stesso tempo, resistenze e pregiudizi simili ci sono ancora oggi. Come ti sei mosso tra la realtà storica e quella contemporanea, per trovare un linguaggio che fosse fedele al passato, ma capace di parlare ai lettori di oggi?
Questo è stato probabilmente l’aspetto del romanzo più complesso da gestire, soprattutto perché riguarda un tema molto caldo e anche molto controverso.
Prima di tutto, sono andato a studiare la situazione dell’omosessualità nel periodo che ho scelto. Non solo per quanto riguarda l’Italia, dove il romanzo è ambientato, ma anche e soprattutto in Germania, essendo il protagonista tedesco. E qui ho scoperto subito una cosa tristemente particolare: vale a dire che, in Germania, l’omosessualità era illegale. E che lo è stata fino al 1994! Certo, tra oscillazioni e applicazioni della pena più o meno rigide (soprattutto pensando alla divisione tra Est e Ovest), però è da pochissimo che è stato compiuto il passo in avanti della piena legalizzazione (e c’è ancora tantissimo da dover fare).
In Italia, invece, la situazione era diversa e l’omosessualità non era reato, anche se non si poteva certo parlare di libertà. Tuttavia, la ricostruzione storica è stata solo un primo passo perché, come dici giustamente anche tu, non basta essere storicamente accurati per saper parlare al pubblico di oggi. Per questo ho cercato di studiare anche tutto il movimento LGBTQIA+ contemporaneo e il modo in cui le persone queer di oggi vivono la propria identità sessuale. Mi sono documentato anche sulle teorie di Alfred Kinsey sulla sessualità, oggi sicuramente superate, ma comunque utili per rendere il più realistico possibile il modo in cui Alfred vive il proprio orientamento sessuale. Infine, ho anche avuto la fortuna di poter parlare con persone appartenenti a questa comunità per sentire direttamente dalla loro voce come vorrebbero che venissero rappresentati i personaggi omosessuali e queer nelle opere narrative. Prestando ovviamente attenzione a ciò che mi hanno raccontato e alle loro esigenze, senza comunque venir meno alla mia visione narrativa.
Come mai hai scelto questa specifica epoca?
Per colpa della mia – senza apparente spiegazione – passione per la Prima guerra mondiale. E, in particolare, ho scelto il periodo tra 1913 e 1914 dopo aver letto 1913 – L’anno prima della tempesta di Florian Illies: un’opera a metà tra biografia e narrazione in cui si descrive la vita di tantissimi intellettuali di lingua tedesca durante l’anno 1913, mese per mese. Questo, infatti, è stato l’ultimo anno della Belle Époque prima della tragedia della Grande Guerra. Poiché l’idea per questa storia mi è venuta poco dopo lo scoppio di un’altra grande tragedia collettiva (ovvero il Covid, per fortuna con molte meno vittime), ho pensato a un parallelo tra la nostra società poco prima dello scoppio della pandemia e la società del 1913: entrambe del tutto inconsapevoli dei profondi cambiamenti verso i quali stavano andando incontro.
La precisione con cui descrivi la Roma del 1913 lascia intravedere un tuo amore per la storia. È una passione che arriva dalla tua formazione o è qualcosa che hai avuto sempre, anche al di fuori degli studi?
Diciamo che la vera e propria passione per la storia è nata proprio iniziando la lavorazione di Come la neve a maggio. All’università ho effettuato studi linguistici, in cui la storia era una materia che occupava veramente poco spazio e che ho affrontato con non troppo interesse. Mentre da un punto di vista personale, pur subendo il fascino delle epoche passate e delle narrazioni a sfondo storico, la storia in quanto tale non è mai stata al centro dei miei interessi. Solo iniziando la ricerca per il mio romanzo, la cui idea di fondo mi sembrava abbastanza valida da poterci lavorare seriamente, ho iniziato ad apprezzare il piacere della documentazione storica e del ricreare, dal nulla, un vero e proprio mondo (con tutte le difficoltà che ciò ha comportato).
Le pagine del romanzo restituiscono una Roma realistica, con tanti particolari d'epoca: l’abbigliamento, i monumenti, la vita nelle strade e nei locali, addirittura anche le targhe e le insegne sono riprodotte fedelmente. Immagino tu abbia fatto un grande lavoro di ricerca. Quanto tempo ti ha portato via oltre alla stesura del romanzo? E su quali materiali ti sei basato?
Come già accennato, la ricerca storica si è svolta su due fasi principali. La prima è durata un paio di mesi circa e ha preceduto tutto il lavoro di progettazione del romanzo, ma si è rivelata insufficiente sotto vari aspetti. La seconda fase è durata un po’ più a lungo, non ricordo esattamente quanto ma all’incirca 3-4 mesi, per cui questo lavoro mi ha impegnato almeno per un mezzo anno. Senza contare tutte le varie ricerche specifiche effettuate durante la stesura e le revisioni, necessarie per andare a definire i micro-dettagli di cui, nelle fasi iniziali, ancora non si sa di avere bisogno.
Per quanto riguarda i materiali, nella prima fase di ricerca mi sono concentrato soprattutto su materiale online, essendo questa avvenuta agli inizi del 2021, in un momento in cui ancora non era molto facile recarsi in biblioteca. E ciò è stato sicuramente tra i motivi della sua insufficienza. In seguito, invece, ho recuperato anche molti testi cartacei – sia manuali generici, sia saggi specifici – oltre a continuare la ricerca online. In particolare, tra i materiali che mi sono stati più utili ci sono i quotidiani digitalizzati contenuti nell’emeroteca online della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma. Tra questo materiale ho trovato non solo un sacco di quotidiani che raccontano, giorno per giorno, la vita e la cronaca della Roma di inizio ’900, ma anche riviste illustrate, in particolare di moda femminile, che mi sono state preziose per le descrizioni dell’abbigliamento dei miei personaggi.
Il romanzo contiene anche aneddoti e leggende. Penso che te ne siano capitate sotto gli occhi a decine. È stato difficile selezionare cosa mettere nel romanzo e cosa lasciare fuori? C’è una vicenda, una storia che ti è rimasta nel cuore ma non hai potuto utilizzare e che pensi sia doveroso far conoscere a tutti?
In realtà penso di essere stato abbastanza fortunato in questo e di essere riuscito a inserire la gran parte dei riferimenti e degli aneddoti che mi sono capitati a tiro. Ci sono stati, però, sicuramente diversi dettagli secondari che non sono riuscito a inserire, o che ho inserito in scene che poi sono state tagliate. Per esempio, in una scena iniziale Alfred andava alla Chiesa di Santa Maria Immacolata di via Veneto e ammirava la famosa cripta con le ossa di migliaia di frati cappuccini; oltre che il dipinto di Guido Reni San Michele Arcangelo sconfigge Satana, che nella versione finale è presente solo come veloce riferimento. Avevo anche scritto una scena in cui Alfred e Flaminia prendono un tè da Babington’s Tea, la prima sala da tè in Italia (presente ancora oggi a Piazza di Spagna), aperta da due signore inglesi che hanno iniziato a diffondere anche nel nostro Paese l’usanza di bere il tè: bevanda che fino a quel momento era reperibile solo in farmacia.
Alfred osserva il mondo con l’occhio di chi studia arte, quindi coglie dettagli e sfumature, non solo dell'arte stessa, ma anche negli atteggiamenti di chi lo circonda. Questa sua sensibilità lo rende un narratore (all’interno del romanzo) sensibile, che apprezza la bellezza. Quanto c’è, in questo sguardo, del tuo modo personale di osservare la realtà? E in che misura l’arte, intesa come linguaggio visivo, ha influenzato il tuo modo di raccontare questa storia?
Penso che gran parte della sensibilità di Alfred nel guardare il mondo derivi dalla mia e coincida con essa, ma per quanto riguarda l’arte nello specifico si tratta di un qualcosa che in realtà non mi appartiene molto. Naturalmente apprezzo l’arte e la bellezza che Roma e molte città italiane esprimono, ma non mi considero una persona particolarmente visiva e, anzi, faccio molta fatica a concentrarmi sui dettagli e sulla rappresentazione visuale dello spazio. Questo, di conseguenza, mi ha richiesto molto studio della materia artistica e molto sforzo nell’immedesimarmi nel punto di vista di Alfred e nel suo modo di percepire, invece, tutti quei dettagli che a me normalmente sfuggono. E il fatto di potersi immergere in un punto di vista diverso dal nostro – anche su questioni che magari possono sembrare poco rilevanti – è sicuramente uno degli aspetti più stimolanti e gratificanti della scrittura immersiva.
Tutti i capitoli sono introdotti da una citazione di una poesia, da cui prendono il titolo. Quando il punto di vista è Alfred le poesie sono di Gabriele D’Annunzio, quando invece siamo con Cesare sono di Giovanni Pascoli. Poi nell’epilogo c’è Rainer Maria Rilke. Com’è nata questa idea? Perché proprio questi autori? È stato difficile trovare dei versi che rispecchiassero lo stato d’animo e il tema di ciascun capitolo?
Si tratta di un’idea che mi è venuta in mente nelle fasi conclusive del romanzo e che rappresenta, in realtà, un semplice elemento decorativo, al punto che poco prima della pubblicazione si stava addirittura valutando se eliminare queste poesie o mantenerle. Tuttavia, si tratta di un’idea che mi stuzzicava molto e che mi piace sempre quando la vedo nei libri degli altri. In particolare, la scelta è ricaduta su Gabriele D’Annunzio perché Il Piacere è sempre stato tra i miei romanzi preferiti e mi ha ispirato molto nel modo estetico e decadente di ritrarre Roma. Ho scelto poi per la maggior parte poesie prese dalle Elegie Romane per via dell’ambientazione, selezionando quelle che si armonizzassero meglio con il contenuto dei capitoli, così da anticiparne e introdurne l’atmosfera generale. Siccome però non tutte le poesie delle Elegie erano adatte allo scopo, ho attinto anche da altre raccolte (Primo Vere e Canto Novo).
Col cambiamento di punto di vista, però, ho voluto cambiare anche poeta, scegliendo Ultimo sogno di Pascoli per due motivi: sia perché è da sempre tra le mie poesie preferite, sia perché l’argomento era molto adatto al contenuto del capitolo (chi ha già letto sa!) e mi sembrava che facesse da giusto contrappunto a D’Annunzio, senza venir meno al simbolismo e all’atmosfera decadente. Mentre per l’Epilogo ho scelto una poesia di Rilke perché, pur ritornando sul punto di vista di Alfred, avevo bisogno di qualcosa che spezzasse completamente con quanto già visto in precedenza e che costituisse, se vogliamo, anche un “ritorno a casa”.
Alfred è tedesco, si trasferisce a Roma e fatica con la lingua. Immagino che per una piccola parte ti sia ispirato all’Erasmus che hai fatto a Mainz. Quanto della tua esperienza si riflette in quel senso di spaesamento e di doppia appartenenza che hai attribuito ad Alfred?
In realtà l’Erasmus ha avuto un ruolo centrale nel generare quest’opera, e posso affermare tranquillamente che, senza questa esperienza all’estero, Come la neve a maggio non avrebbe mai visto la luce. Questo non vuol dire che sia un romanzo autobiografico, anzi: niente di quello che accade ad Alfred è mai accaduto a me personalmente nel modo in cui lo descrivo nelle pagine. Tuttavia, nel descrivere il rapporto di Alfred con la lingua italiana, con la terra straniera in cui si è ritrovato a vivere e con la sua Patria, ho attinto a piene mani a tutte quelle sensazioni che ho sperimentato in prima persona, come hai giustamente notato. Per esempio, l’espediente dell’imparare a memoria piccole frasi strategiche per rendere più fluide le conversazioni iniziali; il modo in cui la lontananza faceva sfocare i contorni dei miei familiari, dei miei amici e di tutte le persone che, fino a poco tempo prima, avevano costituito il centro della mia vita; e la consapevolezza, inoltre, che questo sarebbe successo anche con tutte le persone che avrei conosciuto in Germania (cosa che poi è puntualmente accaduta).
Il lettore vive le vicende dei personaggi in modo diverso da chi scrive, perché durante l’atto della scrittura si diventa davvero il personaggio. A differenza del lettore, che può immedesimarsi in gradi diversi, l’autore ha una conoscenza emotiva più completa del mondo narrativo, che spesso è molto più vasto di ciò che appare sulla pagina. Ci sono stati momenti emotivamente difficili, scene che ti hanno commosso particolarmente mentre le scrivevi?
L’unica di cui ho un ricordo preciso in tal senso è la scena dell’Epilogo, ma semplicemente perché è stata l’ultima che ho scritto, a circa un paio di mesi dalla pubblicazione, e che in effetti mi ha abbastanza emozionato. Ma per il resto non saprei dire con esattezza. Anche se ci sono scene in cui, ripensandoci a posteriori, effettivamente penso di aver messo tanto del mio mondo interiore, il fatto di averle riscritte molte volte, e di averci lavorato per un lasso di tempo prolungato, mi ha abbastanza “anestetizzato” da questo punto di vista. Ma sicuramente posso dire che, parlando con chi ha letto e apprezzato il libro, alcune scene si sono rivelate particolarmente impattanti dal punto di vista emotivo!
La copertina di un romanzo racconta una storia a sé che deve far intravedere ai lettori in cosa si imbatteranno. Quella del tuo libro è molto bella e segue le linee guida della collana dell’editore. Puoi raccontarci qualcosa sulla sua genesi? Hai contribuito attivamente alla scelta del soggetto o hai dato carta bianca a De Tomi?
Alla copertina ha lavorato la bravissima Ann Nadine – illustratrice ufficiale di De Tomi Editore – che ringrazio ancora per l’ottimo lavoro svolto. La prima bozza della copertina che mi è stata fatta vedere era in realtà molto simile a quella che sarebbe diventata la sua versione definitiva, per cui non c’è stato bisogno di un mio intervento o di mie particolari direttive. Anche perché apprezzavo molto quelle degli altri titoli. Mi pare di aver suggerito solo di modificare un dettaglio, poi l’editore ha dato qualche altra indicazione e siamo giunti abbastanza presto alla sua versione definitiva.
Quando hai preso in mano il tuo romanzo stampato, che effetto ti ha fatto vederlo realizzato e vestito nello stile di De Tomi?
Forse potrò sembrare melenso o inutilmente romantico, ma penso che quello sia stato uno dei giorni più belli della mia vita e che porterò sempre nel cuore (insieme a pochissimi altri momenti, che si possono contare sulle dita di una mano).
La promozione è il lavoro più complesso e noioso per chi scrive, se non altro perché toglie tempo alla scrittura. Hai trovato un modo per bilanciare il tempo dedicato a farti conoscere, con quello per la scrittura? Lavorare con una casa editrice ti ha facilitato da questo punto di vista?
Sicuramente la mia casa editrice mi dà una grandissima mano in questo e anzi, posso dire che, nonostante un catalogo in costante espansione, l’attenzione che De Tomi pone nella promozione di ogni suo titolo è sorprendente e ben maggiore di quella di tante altre case editrici. Anzi, si può dire che allo stato attuale i maggiori sforzi promozionali (sia online, sia offline) siano stati proprio in capo al mio editore, anche se io ho cercato fin da subito di dare il mio contributo in questo senso. Nel mio caso specifico, inoltre, la promozione non toglie chissà quanto tempo alla scrittura poiché, all’interno della mia giornata, cerco sempre di ritagliarmi del tempo per entrambe le attività. Anche se nei momenti importanti (come era stato il lancio, o come lo sono l’approssimarsi delle fiere) cerco di dedicare un po’ più tempo alla realizzazione di contenuti promozionali. E viceversa, se sono prossimo all’ultimazione della stesura o della revisione di un mio scritto, mi concentro di più sulla scrittura.
In ogni caso è vero, la promozione è difficile ma necessaria e, per certi versi, devo dire che la trovo anche divertente. A volte mi lascio prendere dalla frustrazione, soprattutto quando magari vedo che contenuti che mi hanno richiesto tempo non vanno come speravo, ma per lo più trovo soddisfacente entrare in contatto con il pubblico, interagire con le persone e valutare chi è più adatto a recepire la storia che ho scritto. Spesso la vendita delle proprie opere letterarie viene mal vista, considerata una cosa “sporca”, ma personalmente non vedo niente di male nel cercare nuove persone che possano entrare in risonanza con la nostra storia e con il messaggio che abbiamo condiviso. Anzi, se vogliamo la si può considerare anche un’attività etica e altruistica: tutto il contrario di come viene solitamente percepita la vendita.
Ho visto che hai partecipato al Book Pride assieme a De Tomi Editore, alla sua squadra e ad altri colleghi. Lì hai conosciuto anche tanti lettori a cui hai firmato le copie del tuo romanzo. Immagino che sia stata una grande emozione. Ti va di raccontarci qualcosa?
Il Book Pride di Milano non è stata la mia prima fiera in assoluto come autore, ma è stata la prima a cui ho partecipato insieme al mio editore e, soprattutto, la prima occasione in cui ho incontrato Sonia e Sergio: due persone eccezionali, una coppia dolcissima e genitori della bellissima Bianca – gatta siamese che su TikTok ha più successo di tutti (e che sarebbe anche il vero capo di De Tomi Editore, ma non ditelo a nessuno!).
È stata un’esperienza bellissima, sia perché le fiere mi piacciono un sacco e, come dicevo, entrare in connessione con persone interessate a scoprire una storia è sempre un’emozione particolare. Sia perché ho avuto modo di incontrare tante persone con cui avevo interagito per lo più online: in particolare i miei colleghi autori Rossella Tota e Manuel Malavenda, che hanno scritto due romanzi oggettivamente splendidi e commoventi. Ma anche Gabriele (aka “A tutto volume libri con Gabrio”), persona splendida e gentilissima, e tutti gli altri che sono passati allo stand a trovarci, anche solo per un saluto e quattro chiacchiere. Credo che le fiere siano belle proprio per questo, al di là del risultato numerico che uno porta a casa che, seppur importante, passa per me del tutto in secondo piano rispetto al fattore umano.
E adesso qualche domanda sul futuro…
Quali sono i prossimi appuntamenti in programma dove i lettori potranno immergersi nelle atmosfere del tuo libro e farti qualche domanda?
Per ora, i prossimi appuntamenti sono i seguenti: il Buk Festival a Modena il 3 e 4 maggio, il Salone del libro di Torino (in cui però sarò presente solo il 15 e il 16 maggio), il Django Books Festival a Treviso il 31 maggio e 1° giugno (dove ci sarà anche una sorpresa, quindi stay tuned!)
Sono tutti appuntamenti in cui parteciperò insieme al mio editore, quindi consiglio di tenere d’occhio le loro pagine social per scoprire anche altri eventi in cui magari non parteciperò direttamente (come Veneto in copertina a Dolo il 27 aprile), ma in cui sarà presente Come la neve a maggio.
Edit: Lorenzo sarà presente anche al Tuscany Medieval Festival il 9-10-11 maggio a Livorno (senza l'editore).
Stai lavorando su un nuovo progetto? Hai in mente di far vivere ad Alfred un’altra avventura o stai scrivendo qualcosa di diverso?
Diciamo che allo stato attuale sto lavorando a due altri progetti, entrambi più o meno collegati a Come la neve a maggio, ma in modo completamente diverso.
Il primo è un altro romanzo, di cui ho già iniziato a lanciare qualche indizio sui miei social, ma per ora posso solo dire che sarà ambientato sempre a Roma durante gli anni della Prima guerra mondiale. Il secondo… beh, è ancora tutto in divenire e ancora non so quale strada finirò per prendere, ma a tempo debito lo scoprirete!
Ho già avuto modo di leggere sia il tuo racconto fuori concorso che la prefazione allegata che hai prestato al nostro contest. In quest’ultima c’è una frase interessante: “I protagonisti pensano molto e parlano poco, rivolgendosi all’altro più nei propri pensieri che nella realtà”. È un aspetto che si trova anche nel tuo romanzo. Secondo te è un problema universale? Qualcosa che dovremmo imparare a riconoscere e gestire meglio per evitare i tanti fraintendimenti nelle relazioni?
Premetto che non sono assolutamente un esperto di relazioni e che in questo campo faccio sempre un sacco di casini (come testimonia, tra l’altro, Come la neve a maggio!), per cui probabilmente sono la persona meno indicata per rispondere a questa domanda.
Non so se sia un problema universale, ma sicuramente è un problema di cui ho avuto esperienza personale e che per questo si ritrova nei miei scritti. Sembra paradossale che in un mondo così dominato dai mezzi di comunicazione ci sia un problema di incomunicabilità, ma forse le due cose sono collegate. Forse è proprio questa iper-connessione costante, questa facilità di poter parlare con chiunque in qualunque momento, ad aver creato una sorta di rigetto e ad averci disabituato alla comunicazione vera, al dialogo faccia a faccia, e all’espressione delle nostre emozioni attraverso parole e gesti: emozioni che molto spesso, invece, vengono represse e soffocate per paura, insicurezza o semplice incapacità di gestirle. E personalmente trovo un po’ triste che molte persone si sentano più a loro agio nell’aprire il proprio cuore attraverso la mediazione di uno schermo nero, piuttosto che guardando negli occhi la persona a cui si vogliono rivolgere.
Siamo giunti alla fine dell’intervista. Grazie davvero per la tua disponibilità e per aver condiviso con noi le tue riflessioni. In bocca al lupo per i tuoi progetti futuri… magari ci sentiremo di nuovo per qualche altra avventura con “Librati con Alice”!
Il racconto che Lorenzo ha scritto per
Immersivamento 2025 sarà pubblicato
fuori concorso assieme ai racconti vincitori del contest, e lo troverete all'interno dell'antologia disponibile gratuitamente su questo sito o acquistabile a prezzo minimo nei principali store online.
Immersivamento è il primo contest letterario a partecipazione gratuita di
Librati con Alice dedicato alla Scrittura Immersiva. Un'occasione per gli scrittori che vogliono mettersi in gioco e creare mondi in cui i lettori possano perdersi.
Se amate raccontare storie capaci di coinvolgere ed emozionare,
partecipate anche voi, la scadenza per l'invio dei racconti è il 31 maggio 2025!
Potete saperne di più su Lorenzo visitando il suo sito web:
www.storieditor.com
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È possibile acquistare
Come la neve a maggio sul sito di De Tomi Editore in cartaceo o versione ebook.